E' a voi chiaro, ormai, che l'aspetto che di gran lunga preferisco, quando mi accingo a preparare un qualsiasi piatto, è quello di conoscerne l'origine, la storia, la provenienza.
Sarà la mia innata curiosità, ma è più forte di me.
Sui "paternali" dei partenopei spaghetti alla puttanesca, nome - converrete con me - piuttosto colorito, se n'è scritto e detto di tutti i colori.
E, come sempre, il web è ricco di informazioni.
"Arthur Schwartz riporta quanto segue circa questo piatto:
« Per quanto riguarda la sua origine etimologica, il termine puttanesca è stato oggetto degli sforzi di immaginazione di molti studiosi, che hanno tentato in ogni modo di trovare la soluzione all’enigma.
Alcuni dicono che il nome di questa ricetta derivò, all’inizio del secolo, dal proprietario di una casa di appuntamenti nei Quartieri Spagnoli, che era solito rifocillare i propri ospiti con questo piatto, sfruttandone la rapidità e facilità di preparazione. Altri fanno riferimento agli indumenti intimi delle ragazze della casa che, per attirare e allettare l’occhio del cliente, indossavano probabilmente biancheria di ogni tipo, di colori vistosi e ricca di promettenti trasparenze. I tanti colori di questo abbigliamento si ritroverebbero nell’omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori, il viola scuro delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granata dei peperoncini.
Altri sostengono che l’origine del nome sia da attribuire alla fantasia di una ragazza di vita Yvette la Francese, che si ispirò alle proprie origini provenzali.
Yvette, probabilmente, non era dotata solo di fantasia, ma anche di senso dell’umorismo e di un’ironia alquanto caustica, che forse sfruttò per celebrare, attraverso il nome di questo piatto, la professione più antica del mondo.... ».
(cit. Wikipedia)
Jeanne Carole Francesconi ne “La Cucina Napoletana”, caposaldo della letteratura gastronomica partenopea, spiega come il nome di questo sugo fu cambiato dal pittore Eduardo Colucci, napoletano di nascita ma ischitano d’adozione, da “alla marinara” in “alla puttanesca”.
Eduardo, esponente della scuola pittorica napoletana, insieme al fratello Vincenzo si stabilì ad Ischia sul finire degli anni ’40 del secolo scorso, e, nella splendida cornice di Villa Rosica ad Ischia in località Punta Molino, formò un cenacolo che accolse artisti, letterati e stelle del cinema. Soggiornò per lunghi periodi Luchino Visconti che qui preparò alcuni lavori teatrali e cinematografici. Frequentatori assidui della villa furono lo scrittore Jean Anouilh, gli attori Anna Magnani, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo e Jean Marais, il pittore Carlo Carrà. Colucci, come ricorda la Francesconi, viveva per gli amici e d’estate abitava in una rustica e minuscola costruzione, ubicata in uno degli angoli più suggestivi dell’isola; la casa si componeva di una camera con cucinino, servizi e un terrazzo in mezzo al quale campeggiava un albero di ulivo. La splendida terrazza affacciata sul mare era teatro di serate memorabili. Colucci, dopo aver offerto come aperitivo un fresco e genuino vino d’Ischia, improvvisava una cenetta a base di vermicelli alla puttanesca, che erano divenuti la sua specialità.
Chi rivendica la paternità del nome è il nipote di Colucci, Sandro Petti, architetto e pigmalione della “dolce vita” ischitana degli anni ’50 del secolo scorso. Nel suo “Rangio Fellone” si sono esibiti artisti del calibro di Mina (al tempo Baby Gate), Peppino di Capri, Lucio Battisti ed altri nomi famosi.
A raccogliere la testimonianza di Petti è Anna Maria Chiariello, giornalista napoletana ed apprezzato volto televisivo, che nel suo bel libro “Lucio Battisti – Emozioni Ischitane” fa rivivere le emozioni, appunto, di un momento magico per l’isola. Riporto lo stralcio del libro della Chiarello: “Una sera intorno alle quattro del mattino, eravamo al Rangio e c’erano degli amici veramente affamati – racconta Petti – avevo finito tutto così li avvisai. “Mi dispiace, dissi loro, non ho più nulla in cucina, non posso prepararvi niente”. Ma quelli insistettero dicendo “Dai Sandro, è tardi ed abbiamo fame, dove vuoi che andiamo, facci una puttanata qualsiasi”. Così l’architetto che aveva anche la passione per la cucina oltre che quella per le arti, dopo un po’ portò una fumante zuppiera di pasta alla … puttanata. E cioè spaghetti, aglio, olio, pummarolelle, olive, capperi, pieni di prezzemolo. Un successo. La zuppiera tornò pulita in cucina. “Ancora la conservo, la tengo nella mia villa romana, dice Petti, è talmente grande che con cinque chili di spaghetti si copre il fondo”. La ricetta finì nel menù, “la chiamai puttanesca, non era carino puttanata” ma gli valse una bella reprimenda dal vescovo Ernesto De Laurentis a causa di quel termine un po’ volgare. (…) “fui io e non mio zio a preparare per la prima volta quel sugo che chiamai poi alla puttanesca”.
(testo preso qui)
Ovviamente, oltre la storia, di ogni piatto amo conoscerne anche la preparazione "a regola d'arte" e, questa che vi trascrivo, pare essere la versione ad hoc.
INGREDIENTI PER 4:
400 g. di spaghetti
500 g. di pomodori da sugo (o una lattina di pelati)
8 filetti di acciuga
uno spicchio d'aglio
un cucchiaio di capperi sotto sale
100 g. di olive nere, denocciolate e a rondelle
peperoncino
origano
sale
olio evo
prezzemolo
PREPARAZIONE:
In una capiente padella fate rosolare l'olio con l'aglio e il peperoncino.
Unite i capperi (sciacquati dal sale), le acciughe, le olive e l'origano.
Ora aggiungete i pomodori sbucciati (o i pelati), salate e mettete un po' di prezzemolo.
Intanto lessate gli spaghetti, scolateli al dente e continuate la cottura nel sugo.
Impiattate e completate con dell'altro prezzemolo e dell'altro origano
(cosa che io, per la fretta di fare le foto, ho dimenticato di fare, confesso).
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